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Il giornalista Paolo Tripaldi (Foto: Facebook)
Associazioni 21 Set 2016

Al via il processo contro il licenziamento del giornalista Paolo Tripaldi, la vicinanza di Assostampa e cronisti romani

È una vicenda diventata il simbolo delle condizioni del precariato nel mondo del giornalismo: o si accettano condizioni di lavoro mai stabilizzate, pagate in modo inadeguato se non - addirittura - scandaloso o anticostituzionale, oppure si viene marginalizzati o licenziati. È la storia di Paolo Tripaldi, giornalista dell'Agi licenziato perché, da anni senza una proposta di stabilizzazione, si è rivolto alla magistratura.

È una vicenda che è diventata il simbolo delle condizioni del precariato nel mondo del giornalismo: o si accettano condizioni di lavoro mai stabilizzate, pagate in modo inadeguato se non – addirittura – in modo scandaloso o anticostituzionale, oppure si viene marginalizzati o licenziati. A raccontarla sono l’Associazione stampa romana e il Sindacato cronisti romani.

«Rivolgersi al giudice del lavoro – scrivono in una nota – per vedere riconosciuti i propri diritti in caso di controversia non può essere motivo di licenziamento. Eppure Paolo Tripaldi, giornalista che ha lavorato per anni in esclusiva per l'Agi occupandosi in prima fila di nera e giudiziaria, dall'agenzia è stato licenziato proprio perché, da anni senza una proposta di stabilizzazione, si è rivolto alla magistratura».

Il processo contro il licenziamento comincia oggi, 21 settembre, davanti al giudice del lavoro del tribunale di Roma. È una prima tappa, che avviene mentre Tripaldi ha presentato ricorso in appello (ma se ne discuterà soltanto nel novembre 2017) contro la sentenza di primo grado che ha respinto la richiesta di formalizzare il rapporto di lavoro esistente fino a quel momento in un contratto a tempo indeterminato.

L'Associazione stampa romana e il Sindacato cronisti romani, «nel ribadire la solidarietà a Paolo, già espressa in un sit-in davanti alla sede dell'Agi in via Ostiense», denunciano infine «la necessità di non affidare solo alla giustizia del lavoro, e a i suoi tempi, il destino di centinaia di colleghi che con il loro impegno garantiscono la qualità dell'informazione a Roma come in Italia, ma senza che questo sia riconosciuto e tutelato».

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