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La lettera dei precari di Repubblica a Cdr e fiduciari
Lavoro autonomo 20 Dic 2016

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L'azienda paventa un taglio alle spese per le collaborazioni e i collaboratori del Gruppo L'Espresso-Repubblica prendono carta e penna e scrivono al Cdr e ai fiduciari di redazione: «Rifiutate quella proposta». Ai colleghi la solidarietà  della Commissione lavoro autonomo della Fnsi.

I collaboratori di Repubblica delle redazioni di Torino, Milano, Genova, Firenze, Bologna, Roma, video – Roma e Palermo, appreso della proposta di accordo, sottoposta al voto dell'assemblea, nella quale si prevede una riduzione della spesa aziendale per le collaborazioni, hanno deciso di scrivere una lettera al Cdr di Repubblica e ai fiduciari di redazione.

«Per l’ennesima volta - lamentano - i costi di una riduzione della spesa aziendale vengono scaricati in maniera preponderante sugli ultimi, cioè sui precari. E per noi questo è inaccettabile. Crediamo che un ripensamento sia possibile e speriamo che i giornalisti di Repubblica rifiutino la proposta».

E anticipano: «Se così non dovesse essere, saremo costretti a cambiare approccio, convinti che una manovra che incide così pesantemente sui nostri compensi non possa essere a "saldo zero" solo per alcuni».

Ai colleghi esprime solidarietà e vicinanza la Commissione lavoro autonomo della Fnsi. «Siamo di fronte a tagli e a un blocco delle stabilizzazioni inaccettabili», commentano Mattia Motta e Maurizio Bekar, rispettivamente presidente e coordinatore della Commissione Nazionale Lavoro Autonomo.

«La Commissione - proseguono - si riserva di avviare tutte le verifiche necessarie, ma fin da subito offre il proprio pieno supporto ai colleghi precari del gruppo, nelle azioni di mobilitazione che vorranno mettere in campo per contrastare il piano aziendale. Di certo, all'interno del cosiddetto "budget collaboratori" trova spazio un'ingente quota destinata ai giornalisti pensionati, colleghi usciti dalla porta principale con assegni previdenziali importanti, e rientrati dalla finestra come collaboratori. Una dinamica che stigmatizziamo: crea un "tappo" alle stabilizzazioni e toglie occasioni di lavoro ai colleghi non contrattualizzati. Prassi aziendale che, tra l'altro, va in senso contrario rispetto ai principi previsti in materia nella riforma del settore dell'editoria».

IL DOCUMENTO
Ecco di seguito il testo integrale della lettera dei collaboratori del Gruppo L'Espresso-Repubblica.

Carissimi colleghi,

quotidianamente noi collaboratori siamo impegnati accanto ai redattori nelle diverse sedi di Repubblica. Con il nostro lavoro assicuriamo l'uscita del giornale, in particolare delle pagine locali, e il continuo aggiornamento del sito internet e la produzione dei contenuti multimediali. Crediamo – come convenivano un anno fa, sottoscrivendo l'accordo del 10 dicembre 2015, i rappresentanti dell'azienda, della direzione e del cdr – di “assicurare un contributo importante per qualità e quantità di prestazione all’affermazione di Repubblica: un giornale che è impresa ma anche insieme di valori condivisi, capacità di attrarre intelligenza, innovazione”.

Noi collaboratori siamo consapevoli delle difficoltà che l'azienda e il mondo dell'editoria stanno attraversando. Non da ora, ma da anni ne paghiamo le conseguenze: le nostre retribuzioni spesso non sono proporzionate alla quantità e alla qualità del nostro lavoro, nonostante ad alcuni di noi sia stata riconosciuta la possibilità di sottoscrivere il "contratto unico". Uno strumento che riteniamo ancora inadeguato, considerato che, nella realtà dei fatti, il numero di articoli prodotti supera spesso il doppio e, in alcuni casi, il triplo indicato dalla soglie contrattuali; le nostre regole d'ingaggio sono spesso stravolte, là dove ai collaboratori viene chiesto di sottostare a "turni ferie", "corte" e "orari" o, in alcuni casi, viene assegnata loro la responsabilità di interi settori redazionali o richiesta la partecipazione alle riunioni e la presenza in redazione. Accanto a questi collaboratori c'è anche chi, spesso da anni, garantendo una disponibilità pressoché quotidiana, fornisce contenuti di qualità al giornale e al suo sito internet senza contratto e senza prospettiva di ottenerlo (pur avendone in alcuni casi i requisiti), lavorando spesso a partita Iva o a borderò e offrendo, senza garanzie, una produzione di articoli e servizi multimediali strategica per il gruppo editoriale.

Eppure non ci siamo mai tirati indietro. Abbiamo continuato a lavorare, nella speranza di raggiungere, un giorno, maggiori sicurezze e di lasciarci alle spalle un percorso di precariato contrassegnato da continue difficoltà e incertezze, ma mossi anche dall'orgoglio di lavorare all'affermazione di un giornale come Repubblica. È per questo che apprendere della proposta di accordo sottoposta al voto dell'assemblea dei giornalisti ci addolora. Per l’ennesima volta i costi di una riduzione della spesa aziendale vengono scaricati in maniera preponderante sugli ultimi, cioè sui precari. E per noi questo è inaccettabile.

Al danno, infine, si aggiunge la beffa: il blocco delle assunzioni equivale infatti a frustrare qualsiasi tipo di prospettiva di stabilizzazione dei precari. Questo si somma al rischio che i tagli trasformino in carta straccia il "contratto unico", che avrebbe dovuto segnare un primo passaggio verso una maggiore stabilità economica per i collaboratori indispensabili all’uscita quotidiana del giornale. E ci mette in una condizione sempre più difficile, dovendo continuare a collaborare fianco a fianco con chi dovrebbe avallare queste dolorose scelte.

Crediamo che un ripensamento sia possibile e speriamo che i giornalisti di Repubblica rifiutino una proposta che anziché sanare, approfondisce ancor di più il solco che – spesso a parità di lavoro – li separa nei diritti e nel salario dai loro colleghi precari. Se così non dovesse essere, saremo costretti a cambiare approccio, convinti che una manovra che incide così pesantemente sui nostri compensi, già di per sé carenti, non possa essere a "saldo zero" solo per alcuni. Una decisione di questo tipo ci costringerebbe a entrare in stato di agitazione e, a quel punto, a decidere la mobilitazione che riterremo opportuna.

@fnsisocial

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