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Dibattito Fnsi 10 Mag 2008

Aperti i lavori del convegno del "Gruppo di Fiesole" Giovanni Rossi: "Occorre un piano regolatore generale per l'industria dell'informazione" Oggi le conclusioni

Con la relazione del coordinatore di "Autonomia e Solidarietà", Giovanni Rossi, si sono aperti venerdì i lavori del convegno del "Gruppo di Fiesole" (www.gruppodifiesole.it) . Questa mattina sono previste le conclusioni

Con la relazione del coordinatore di "Autonomia e Solidarietà", Giovanni Rossi, si sono aperti venerdì i lavori del convegno del "Gruppo di Fiesole" (www.gruppodifiesole.it) . Questa mattina sono previste le conclusioni

RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL CONVEGNO DEL GRUPPO DI FIESOLE VENERDì 9, SABATO 10 E DOMENICA 11 MAGGIO 2008. A CURA DI GIOVANNI ROSSI Relazione introduttiva di Giovanni Rossi Premessa Verrebbe da dire, aprendo questa assemblea: “Dove eravamo rimasti?”. Poiché le questioni che il Gruppo di Fiesole individuò, discusse, analizzò, sono ancora tutte lì ad interpellarci, a spingerci a cercare di analizzarle ed a discuterne. Perfino le condizioni di contorno, attorno a noi, non sembrano essersi modificate, ma, anzi, riconfermate nel mondo della politica e delle istituzioni. Nell’affermare questo non si vuole dire che nulla è cambiato. Sarebbe sbagliato sostenere questo, poiché vorrebbe dire che l’azione da noi stessi sviluppata non avrebbe inciso per niente. Non è così. Molti tra coloro che parteciparono dell’esperienza di Fiesole hanno portato quella esperienza e quella elaborazione nel cuore dei nostri organismi di categoria, nei governi stessi che si sono succeduti negli ultimi anni nel movimento organizzato dei giornalisti italiani. Quella esperienza e quella elaborazione si sono contaminate, hanno voluto contaminarsi con altre, proprio in battaglie comuni condotte nell’interesse dei giornalisti italiani, ma non solo, nell’interesse di uno sviluppo democratico del sistema dell’informazione e del suo rapporto con l’insieme dei cittadini, e, soprattutto, con quei segmenti di società più impegnati anche se spesso discriminati dai grandi mezzi d’informazione. Fiesole privilegiò il rapporto con chi non aveva voce come si diceva allora, non ha visibilità come si dice oggi. Chi si muove nel mondo dell’impegno sociale, della solidarietà sociale, dei diritti, della solidarietà internazionale. Un Piano regolatore generale per l’industria dell’informazione L’industria dell’informazione è un settore delicatissimo da vari punti di vista: per l’impatto sui livelli di democrazia, per la formazione di convinzioni culturali che, poi, determinano i comportamenti dei cittadini nelle relazioni sociali e politiche; per gli enormi interessi economici in gioco; per l’occupazione diretta ed indiretta che il settore determina. E’ questione fondamentale. Per tali ragioni sono indispensabili norme precise, indirizzi chiari a livello legislativo. Certamente non è possibile regolare questa materia con leggi puramente settoriali, magari costruite su interessi contingenti. Certamente, non è possibile considerare la legge che porta il nome dell’on. Gasparri una normativa adeguata in questo campo dato che assegna il 95% delle risorse ai due poli televisivi. Va superata con norme che siano davvero adeguate e di garanzia e che non penalizzino l’uno o l’altro settore interno al comparto dell’informazione. Sembra una ovvietà, ma così non è, visto che con quelle norme più che inadeguate ancora dobbiamo fare i conti e, temo, dovremo continuare a farvi i conti per ancora molto tempo. Bisogna averne consapevolezza. Sarà dura. E dovremo dare battaglia per affermare le nostre idee. - 2 – Vorremmo non avere solo l’alternativa di un referendum abrogativo per intervenire su questa materia. L’obiettivo dovrebbe essere un corpo legislativo completo e moderno, creato per dare garanzie a tutti, dal punto di vista imprenditoriale e dal punto di vista del pluralismo e della democrazia che deve caratterizzare un Paese davvero sviluppato. Su questo terreno sfidiamo positivamente forze politiche e singoli parlamentari, amici e meno amici. Li invitiamo a confrontarsi con noi e con altri per far sì che questa possa essere considerata una legislatura che non ha considerato l’informazione un argomento da scoprire solo quando la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche ha disturbato questo o quel parlamentare, questo o quel ministro, questo o quel leader politico. Un tema, cioè, a cui dedicare attenzione solo per minacciare bavagli e limitazioni. Bavagli e limitazioni contro i quali ci battiamo e ci batteremo e contro i quali vorremmo sentire più pronunciamenti e vedere un maggior numero d’iniziative e non solo da parte di organismi della nostra categoria. In questo contesto deve essere trovata una soluzione al problema del finanziamento pubblico alle aziende editoriali. Pur non condividendo il “tabula rasa” che viene proposto da tante parti e per interessi diversi, va pur detto che le proporzioni e le modalità del finanziamento alle aziende costituisce effettivamente uno scandalo. Da un lato non ha senso alcuno che grandi aziende del nostro Paese introitino milioni di euro, peraltro in aperta contraddizione con se stesse allorquando non cessano di cantare le lodi del libero mercato e della concorrenza, ma dall’altra non lo ha neppure che tante testate sconosciute e semiclandestine siano finanziate senza alcun reale criterio di valutazione del ruolo effettivo che svolgono per contribuire al pluralismo dell’informazione. Chi è serio e chi è utile rischia di essere penalizzato all’interno di un calderone in cui tutto diventa una melassa da buttare. Così tutto appare uno spreco ed i cittadini non capiscono il senso di una legge che, invece, senso ne ha purché basata su regole rigorose e purché la sua applicazione sia accompagnata da veri ed adeguati controlli. A cominciare dalla condizione che queste aziende rispettino i contratti, non sfruttino il lavoro precario, non abbiano contenziosi aperti con gli istituti di previdenza per il mancato versamento dei contributi. Sembra di dire l’ovvio, ma così non è. Chiediamo che si operi in questo senso, confrontandosi con gli organismi che rappresentano la nostra categoria i quali cose da dire ne hanno, ne possono e debbono avere. Così come dobbiamo ribadire che la legge ordinistica va cambiata, altrimenti si corre il rischio di una situazione ancor più insostenibile che porta acqua al mulino abrogazionista. Questo Parlamento vuol produrre qualcosa? I tanti colleghi che occupano quagli scranni vorranno dare un contributo? Sono domande alle quali attendiamo una risposta seria almeno da quel 10% di parlamentari i quali, stando alle statistiche, sono iscritti al nostro Ordine. Un’emergenza che resta: il conflitto d’interessi - 3 .- Da Fiesole è sempre partita una richiesta forte per la separazione dei ruoli pubblici dagli interessi privati. Il tema del conflitto d’interessi per noi non ha mai perso d’attualità. In questo Paese necessita una moderna legge sul conflitto d’interessi. Ma non concepita come clava o mezzo d’attacco a questo o a quel leader politico, bensì quale garanzia per tutti. Servirebbe a svelenire il clima politico oltre a dare al nostro Paese una immagine (ed una sostanza, che è ben più importante) di modernità. Il tema del conflitto d’interessi riguarda l’insieme della nostra società: si pone a livello del vertice politico, ma anche nei rapporti più diffusi, a cominciare da quelli economici. Perché di conflitto d’interessi si deve parlare, ad esempio, quando una banca è proprietaria di un fondo comune e su quello indirizza i propri clienti. Si tratta di ricostruire comportamenti corretti capaci di ridare uno spirito civico alla nostra società. La recente vicenda della pubblicazione via Internet delle dichiarazioni dei redditi degli italiani, al di là di quello che si può pensare dell’atto in sé, offre sufficiente materia di meditazione sulla correttezza di molti cittadini. Almeno a mio avviso dovrebbe fare discutere più questo aspetto degli altri. Così come, anziché limitarsi a discutere della legittimità o meno della pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, è il desolante contenuto di molti dei testi che sono stati resi noti che dovrebbe essere oggetto di attenzione e di preoccupazione circa la degenerazione culturale e morale di una parte almeno dei ceti dirigenti. Una rivendicazione sempre valida: lo Statuto dell’impresa editoriale Lo “Statuto d’impresa” è una nostra elaborazione storica. Resta una rivendicazione attuale. Si potrebbe dire che è parte della battaglia sul conflitto d’interessi. Restiamo convinti, infatti, che la deriva ideologica verso una mitizzazione del mercato privo di regole e di rispetto dell’interesse pubblico non possa farci accettare l’idea dell’informazione quale fosse “un prodotto di consumo” qualsiasi, privo di statuti particolari di garanzia. Se accettassimo questa idea non capisco che senso avrebbe continuare a parlare di regolamentazione per legge della professione giornalistica, di carte deontologiche e statuti particolari volti a riconoscere e regolare, appunto, la particolarità professionale del giornalista. Se c’è particolarità professionale, c’è particolarità aziendale. La commistione tra impresa editoriale ed interessi “altri” della proprietà va combattuta e, per quanto possibile, superata. Deve essere trovato un metodo, una regola, che garantisca non solo il professionista dell’informazione, ma anche che impedisca all’imprenditore del settore di rendere subalterna la sua attività alle altre che svolge, spesso in modo prevalente, in altri e diversi campi. Non è questione da poco, ne è pensabile sia di facile soluzione. Il rapporto tra il giornalismo organizzato e i legislatori deve svilupparsi su questo terreno al fine di individuare norme che abbiano l’obiettivo di conciliare garanzie democratiche da fornire ai cittadini con la libertà dell’impresa. Problema complesso per un Paese che è transitato nel sistema post-capitalistico e, direi, post-democrazia partecipata, senza darsi una struttura legislativa liberale. - 4 - Accesso e formazione professionale Una categoria che rivendica un ruolo sociale rilevante ha il dovere di avere le carte in regola. E le carte in regola si hanno se l’accesso ad essa è si libero e trasparente, ma basato su precise norme e se accompagnato da un percorso di elevata formazione. In questo contesto un ruolo debbono averlo le Scuole troppe volte esaltate acriticamente, ma tante altre “condannate” altrettanto acriticamente. Si tratta di evitare ideologismi ragionando su questioni quali il numero, che ha da essere contenuto, di scuole ed allievi; la qualità della formazione; i costi dell’accesso ad esse; il ruolo che anche in questo campo devono avere gli editori. Sono questi i temi per un aperto confronto. La nostra, se esercitata con impegno, è una professione difficile. Nella pratica, però, non è percepita in questo modo. Superficialità e pressappochismo sono assai diffusi anche se sono tantissimi coloro che la esercitano con dignità ed impegno. Il problema di cosa siano i giornalisti ci viene posto periodicamente. Ultimamente perfino le campagne di un comico come Beppe Grillo, ci ripropongono questo problema. E’ compito anche nostro dire cosa vogliamo essere e come vogliamo esserlo. Io ritengo che il giornalismo debba essere un servizio ai cittadini, debba essere inteso come passione civile. Che ha come riferimento i cittadini prima che gli interessi dell’azienda verso i quali (cittadini) sente come un dovere l’informare, con un linguaggio comprensibile. Svolgendo così quel ruolo di indicatore della democrazia che spesso rivendica. Che – come ci ha ricordato Sergio Lepri nel corso del suo intervento durante la manifestazione di apertura delle manifestazioni per la celebrazione del centenario della Federazione della stampa – sappia privilegiare i contenuti rispetto allo spettacolo, parlando alla ragione prima che ai sentimenti, i quali ultimi non suggeriscono riflessioni, ma suscitano emozioni. Chi più sa, più è libero. Chi è preda di emozioni spesso sragiona. Sarà bene ricominciare a dirle queste cose, anche a colleghi autorevoli o ritenuti tali i quali, specie lavorando in televisione, seguono il criterio opposto. E’ un discorso che non ha nulla a che vedere con richieste di censure e condizionamenti. L’esercizio della professione e dell’informazione ha da essere libera, ma la capacità di capirne i limiti e di separare l’informazione dallo spettacolo o dalla sua spettacolarizzazione è un problema che dobbiamo porci e la rivendicazione della nostra autonomia non ci libera dalla necessità di ragionare su questo delicato tema, non risolvibile con un semplice appello o una pur giusta rivendicazione di libertà. E’ un tema che rimanda a cosa sia il giornalismo che di certo – per me almeno – non è la stessa cosa dello spettacolo. La questione dei gruppi dirigenti Chi è qui proviene da storie differenti. Non siamo ad un’assemblea di componente anche se “Autonomia e Solidarietà” rivendica l’eredità dell’esperienza iniziata qui venti anni fa. Né vogliamo dar vita ad una nuova componente sotto mentite spoglie, quelle cioè di un gruppo che ha pratiche tipiche del movimento politico-sindacale e - 5 – finge di non esserlo. Nulla di tutto questo. Tuttavia, l’assemblea che si apre oggi non ha luogo nel vuoto pneumatico e non credo si possa fingere di non aver nulla a che fare con ciò che accade fuori di qui negli organismi della categoria. Credo che anche sui problemi della vita interna ai nostri organismi, sui temi della selezione della classe dirigente qualcosa possa e debba essere detto. Nella società italiana ed anche in qualche luogo del giornalismo italiano si è sperimentato – con risultati apprezzabili – il metodo delle primarie. Credo debba essere preso in considerazione, pur senza mitizzarlo. E’ una metodologia che non supera la selezione all’interno dei gruppi dirigenti, ma che rimanda la scelta finale, dopo una prima preselezione, formulata dai quadri con incarichi primari, ad una più larga base. Assieme all’introduzione della consultazione referendaria nella nostra prassi sindacale, sia pure con la necessaria prudenza e con le indispensabili garanzie, la metodologia delle primarie può consentire un’espansione della democrazia partecipata nei nostri organismi. Permettendoci, così, di fare un passo avanti verso il superamento di forme di leaderismo, che ci sono, forzando in direzione della partecipazione più ampia possibile e della formazione di nuovi quadri dirigenti, di una nuova generazione di giornalisti impegnati. La questione dell’unità Chi vi parla crede fermamente nella più ampia unità nella gestione degli organismi di categoria. Una unità che deve essere praticata senza riserve mentali, senza furbizie, nel rispetto delle posizioni di ciascuno e nell’evidente sforzo di partire da queste per individuare posizioni più avanzate. Il problema è trovare valori e programmi condivisi. Non è cosa che si fa da un giorno all’altro. Li si deve trovare, per esempio, sul ruolo e la responsabilità sociale dei giornalisti, su un modo netto e chiaro di praticare l’autonomia dalla politica senza per questo rifiutarsi di farla (la politica) con proposte capaci di creare le condizioni perché anche i confronti contrattuali avvengano, ad esempio, in un contesto legislativo chiaro che favorisca e non ostacoli le intese, nel quale gli accordi sottoscritti a livello di governo non vengano disattesi il giorno dopo come è accaduto per le intese sul mercato del lavoro che riguardavano la libera professione. Il contratto con la Fieg non è questione avulsa dai temi generali, anzi deve tener conto dei processi che si sono sviluppati in anni. Rispetto a venti anni fa l'evoluzione tecnologica della nostra professione, dal punto di vita degli strumenti e delle piattaforme di trasmissione dell'informazione, sembra essere divenuta lo snodo principale che condiziona il nostro futuro di giornalisti: la sopravvivenza delle testate, la redditività delle aziende editoriali, le modalità del lavoro giornalistico, ma, soprattutto, la libertà, la correttezza, la completezza dell'informazione, l'autonomia dei processi decisionali. Non vogliamo arrenderci al dogma degli editori: lo sviluppo tecnologico è univoco e va considerato una variabile indipendente alla quale ci si deve adeguare. Non è così: l'innovazione tecnologica può e deve essere gestita e - 6 – guidata. Non ci sono esiti univoci, ma diverse possibilità alternative da esplorare insieme. La multimedialità va affrontata come progetto comune al quale lavorare insieme. Con questo spirito la Fnsi deve rapportarsi alla propria controparte e mi pare lo stia facendo. C’è, insomma, tanta materia sulla quale esercitare lo sforzo di elaborazione, sulla quale confrontarsi dentro e fuori la categoria, ritrovando la voglia e la volontà di andare oltre l’esistente, esercitando così, nella pratica, una vera azione rinnovatrice e riformatrice che, in tal modo, non è solo proclama da riservare ai convegni. Ci troviamo a far fronte ad un calo di tensione etica e ideale del giornalismo. Tante le ragioni che possono spiegarlo: la scarsa trasparenza degli itinerari di accesso alla professione, il logoramento derivato da una lunga stagione di vertenze contrattuali, il possibile scollamento delle redazioni dagli organismi di categoria, l'individualismo e la frammentazione crescente di questa professione come accade nel resto della società. Al di là dell'analisi delle cause, è urgente la necessità di recuperare e riproporre quell'insieme di valori di impegno civile, difesa della libertà e della democrazia, disponibilità all'impegno e alla mobilitazione che hanno contraddistinto il Gruppo di Fiesole. Quella vicenda ha grande attualità. La domanda iniziale “Dove eravamo rimasti?” ha anche questa risposta: siamo rimasti impegnati a perseguire quelle idee e quel programma, certo rinnovandoli e adeguandoli, ma nella coerenza e nella convinzione così di fare cosa utile al Paese ed alla categoria.

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