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Dibattito Fnsi 12 Dic 2006

Autonomia e Solidarietà: "Diciamoci come deve cambiare l'Ordine dei Giornalisti"

A fine maggio-inizi di giugno del 2007 la categoria sarà chiamata a votare per il rinnovo degli organismi dirigenti del nostro Ordine professionale. A maggiore ragione se ne deve discutere anche se già non vi fossero ragioni a sufficienza per farlo.

A fine maggio-inizi di giugno del 2007 la categoria sarà chiamata a votare per il rinnovo degli organismi dirigenti del nostro Ordine professionale. A maggiore ragione se ne deve discutere anche se già non vi fossero ragioni a sufficienza per farlo.

Premetto subito di essere personalmente contrario ad opzioni abrogazioniste. Per due ragioni essenzialmente. Perché ritengo che, ben gestito, l’Ordine possa essere un ulteriore elemento positivo di tutela della categoria, sempre sotto attacco, con in più la forza di essere un organismo previsto dalla legge. E, poi, perché non mi convincono ipotesi come quelle di far transitare alcune sue funzioni sul sindacato. E questo perché il sindacato ha già altro da fare e in quanto ritengo che certe funzioni – come la tenuta dinamica degli albi, con, finalmente, periodici controlli - non dovrebbero essere svolte da una libera associazione di cittadini, quale è una organizzazione sindacale (a meno di non modificarne la natura), bensì da un organo regolato per legge. Detto questo, ciò che abbiamo oggi e che si chiama Ordine, appare superato in molte cose ed è urgente riformarlo. Se la riforma spetta al Parlamento, a mio avviso la proposta sul da farsi spetta a noi giornalisti, a noi dirigenti degli organismi di categoria dei giornalisti. Questa è la mia opinione. Tra le tante cose da fare va riformato il Consiglio nazionale. In esso – che deve divenire a numero fisso predefinito e non in continua mastodontica lievitazione – devono dominare coloro che svolgono l’attività giornalistica almeno come prevalente, meglio se esclusiva. Professionisti, pubblicisti: per me è un problema nominalistico. Li chiamerei professionali, come facciamo nel sindacato. E’ un principio logico basilare: l’autogoverno della deontologia, della disciplina, dell’accesso non può che essere in mano, per essere tale, cioè un autogoverno, a chi la professione la svolge. Giusto che vi sia anche la presenza di chi ha altre professioni prevalenti, e svolge un’attività giornalistica complementare, ma non può, ne deve, diventare prevalente. Il Cn deve essere composto, dicevo, da un numero di eletti predeterminato, il più basso possibile consentito dalla necessità da dare rappresentatività a tutte le realtà regionali. Le elezioni debbono avvenire con un sistema elettorale adatto agli anni 2000 non all’anno 800 del secolo scorso: è scandaloso che vi siano realtà dove si vota senza neppure garantire che vi sia un seggio in ogni capoluogo di provincia. Una democrazia che costringe l’elettore a macinare decine di chilometri per votare non è tale. Meglio, quindi, se si arrivasse all’introduzione del sistema del voto elettronico, come sperimentato positivamente dalla Casagit. Basta con la finzione che tutti sono candidati: chi vuole “correre” lo dichiara prima e gli elettori devono sapere chi sono i candidati e quali i loro programmi. A queste riforme, diciamo così organizzative, devono sposarsene altre di maggiore rilevanza anche esterna. In particolare, circa i meccanismi dell’esame alla abilitazione all’esercizio della professione. Deve divenire duro e selettivo, cioè una cosa seria. Ad esso si deve arrivare dopo un percorso di preparazione, a mio avviso, post-universitaria. Scuole o master devono affrontare il problema dei loro costi e, quindi, la questione di una possibile selezione di “classe”, come si diceva una volta e come io dico ancora, attraverso l’istituzione di numerose borse di studio che intervengano ad abbattere significativamente i costi per i più bisognosi e meritevoli. A questo fine andrebbero impiegate quote significative del bilancio ordinistico. Questo percorso deve essere l’unico modo di accedere alla professione, non un ulteriore modo, uno tra i tanti oggi possibili. Troppe vie d’accesso a volte assomigliano a nessuna via d’accesso seria. Delicatissima è la questione dei procedimenti disciplinari che vanno resi più rapidi, maggiormente trasparenti e, soprattutto, deve essere obbligatoria la pubblicità delle decisioni assunte. La secretazione dei provvedimenti, praticata da alcuni Ordini regionali, è definibile in un solo modo: inaccettabile. Per i procedimenti che dovessero essere istruiti per iniziativa di cittadini non iscritti all’Ordine dovrebbe essere previsto un Giurì composto non solo di giornalisti (ma ad esempio, anche da magistrati) con tempi di decisione contingentati onde garantire risposte certe alle istanze di chi si ritiene colpito dalla nostra attività professionale. Sono proposte tutte più che discutibili. Sono, però, convinto che alla categoria spetti l’onere della proposta. L’onore della decisione e di legare il proprio nome ad una legge di riforma lasciamolo pure ai parlamentari che ne avranno il coraggio. Non continuiamo, però, a discutere senza entrare nel merito, in modo generico, magari con lo sguardo rivolto alle convenienze elettorali. Né lasciamo che siano forze esterne a noi a decidere ogni cosa. Francamente dubito che così ne usciremmo con un risultato tale da creare una situazione che possa essere definita migliore dell’attuale. Giovanni Rossi Coordinatore nazionale della componente di “Autonomia e Solidarietà”

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