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Fnsi 01 Ott 2002

Quante righe vale la vita di Roddy Scott? Giornalista britannico morto in Cecenia

Quante righe vale la vita di Roddy Scott? Giornalista britannico morto in Cecenia

Quante righe vale la vita di Roddy Scott? Giornalista britannico morto in Cecenia

di Carlo Gubitosa 1 ottobre 2002 da Informazione senza frontiere Mentre in Europa il ruolo della "minaccia mondiale" è interpretato da Saddam Hussein, ad est del teatro mediatico allestito dal "figlio d'arte" Bush Junior c'è Vladimir Putin, che sta conducendo la sua "guerra al terrorismo" in Cecenia, con gli nevitabili "effetti collaterali". Un effetto di questa guerra che è stato talmente "collaterale" da essere totalmente ignorato dai mezzi di informazione è la morte di Roderick John Scott, un giornalista britannico nato nel 1973 e morto in Inguscezia il 26 settembre 2002, mentre cercava di documentare, forse troppo da vicino, le azioni dell'esercito russo contro i guerriglieri ceceni. Dalle scarsissime notizie su questo crimine di guerra ritrovate nelle pieghe dell'internet risulta che Roddy era un collaboratore della tv londinese "Frontline Television News", e portava con sé una videocamera, delle cassette, e un passaporto britannico con visto georgiano. Quante righe vale la vita di Roddy Scott? Come mai questo giornalista non ha meritato neppure una delle lacrime che i "coccodrilli" della carta stampata hanno abbondantemente sparso per Maria Grazia Cutuli? Nessuno di questi "coccodrilli", tuttavia, si è fatto sfuggire che anche Maria Grazia era una "freelance" come Roddy, e che in base alle indiscrezioni trapelate dai suoi colleghi il prestigioso "Corriere della Sera" avrebbe deciso di assegnarle ufficialmente la qualifica di "inviato" solamente dopo la sua morte, quasi come una "medaglia al valore". Quanti di questi coccodrilli della carta stampata sono pronti a rivelare che l'informazione ormai è qualcosa di profondamente diversa dal giornalismo, e che la figura dell'"inviato" è una specie destinata ad una rapida estinzione? Ormai sono i giornalisti come Roddy e Maria Grazia che si "auto-inviano" nelle zone più "calde" del pianeta, cercando di "piazzare" il proprio materiale per recuperare le spese di viaggio ed eventualmente sbarcare il lunario guadagnando qualcosina. L'inviato iscritto ufficialmente sul libro paga del giornale, per vivere stabilmente in un paese raccontandone le vicende, ormai è una figura professionale troppo costosa, facilmente sostituibile dalle agenzie di stampa internazionali. Molto meglio sfruttare questi ragazzini intraprendenti, che non hanno paura di avventurarsi in zone che non conoscono e vengono pagati solamente per il tempo strettamente necessario a "coprire" gli eventi di maggiore attualità, immediatamente rimandati a casa non appena un paese smette di "fare notizia". Francesco Iannuzzelli, un giornalista italiano freelance che vive e lavora a Londra collaborando dall'estero con l'associazione "PeaceLink", ha commentato la vicenda di Scott mettendo in evidenza "il problema dei giornalisti freelance, che per pochi soldi, senza protezione e espandendosi ad alti rischi, si recano in zone molto pericolose; zone (e guerre) fra l'altro dimenticate dai grandi media (Bbc, Reuters e Cnn non hanno un giornalista in Cecenia), e così i freelance diventano gli unici a fornire informazione e a rischiare la pelle, ma pur svolgendo un lavoro importantissimo vengono pagati un decimo dei giornalisti di grido, e quindi non possono permettersi l'attrezzatura necessaria per proteggersi. Il povero Scott era andato in Cecenia per 500 sterline... con un po’ di soldi in più forse si sarebbe potuto comprare un giubbotto antiproiettile e si sarebbe salvato la vita". Se la presenza dei media internazionali nelle zone a rischio è scarsa, quella degli operatori dell'informazione italiani è pressoché nulla. In una zona vasta come l'Africa gli "inviati" della stampa e delle televisioni italiane si contano ormai sulle dita di una mano, e il loro lavoro dovrebbe servire a raccontare la vita di un intero continente. Chi decide il destino dei nostri media preferisce farci raccontare le cose che accadono nel mondo dalle grandi agenzie di stampa internazionali, così la "proprietà" del giornale è più contenta e alla fine dell'anno i bilanci si fanno quadrare più facilmente e a costi minori. Probabilmente tra qualche settimana saremo costretti ad assistere alla rappresentazione di una nuova guerra, e il copione di questa commedia mediatica non sarà certo scritto dai ragazzi o dai giornalisti che avranno la fortuna di osservare i fatti con i loro occhi, ma tutto verrà deciso a tavolino nelle redazioni romane e milanesi, in base alle direttive di "sciacalli mediatici" panciuti che decidono cosa va in prima pagina e cosa "non piace al pubblico", pronti ad ignorare la morte di un collega per accendere i riflettori sulla banalità, sulla retorica e sulla propaganda di guerra. In futuro non ci saranno più inviati che ci aiuteranno a guardare un paese con gli occhi di uno straniero che se ne innamora, non avremo più il Vietnam di Walter Cronkite, l'America vista da Calvino, il Medio Oriente narrato da Luigi Sandri, l'Africa dipinta dalla penna di Ryszard Kapuscinski, la Spagna raccontata da Ernest Hemingway. Per realizzare dei "prodotti editoriali" sempre più redditizi tutti i giornalisti saranno costretti a lavorare come formiche impazzite, girando il mondo di settimana in settimana senza acquisire le lingue, le culture, i contatti, gli agganci e le sensibilità indispensabili per raccontare il cuore un paese senza fermarsi alla sua superficie. Quando l'america andrà in Iraq, in televisione si vedranno molti collegamenti via satellite fatti dai balconi degli alberghi di Baghdad, ben lontano dall'epicentro degli eventi. Non siate astiosi con il cronista che apparirà sul teleschermo, e abbiate per lui un pensiero di umana solidarietà. In fin dei conti, si tratta pur sempre di un esemplare in via di estinzione.

@fnsisocial

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