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Sindacale 28 Giu 2005

Cgil, allarme precariato: "La nuova occupazione in Italia è rappresentata al 70% da lavoratori precari Nel 2003 erano 1,7 milioni con un reddito annuo di 10.000 euro lordi"

Una crescita del numero dei lavoratori precari che non ha riscontro con quanto avviene negli altri Paesi europei. E' quanto emerge dall'inchiesta NIdiL-Cgil ''Lotta alla precarieta', diritti e welfare nel lavoro atipico''.

Una crescita del numero dei lavoratori precari che non ha riscontro con quanto avviene negli altri Paesi europei. E' quanto emerge dall'inchiesta NIdiL-Cgil ''Lotta alla precarieta', diritti e welfare nel lavoro atipico''.

Una crescita del numero dei lavoratori precari che non ha riscontro con quanto avviene negli altri Paesi europei. E' quanto emerge dall'inchiesta NIdiL-Cgil ''Lotta alla precarieta', diritti e welfare nel lavoro atipico''. Il rapporto ha quantificato per la prima volta, senza affidarsi a stime, il numero dei lavoratori collaboratori: nel 2003 risultavano essere 1.785.856, per un reddito medio di 10.063 euro lordi l'anno. Il dato, sottolinea la Cgil, rende evidente l'inesattezza delle stime del governo, secondo cui i collaboratori sarebbero 400mila. Nel 2004 in Italia il 70% della nuova occupazione ha riguardato lavori precari e discontinui. Inoltre, contrariamente a quanto si crede, il lavoro precario non e' piu' una modalita' di ingresso nel mondo del lavoro, ma interessa un'ampia fascia di persone fra i 30 e i 44 anni (44,7%). Diffuso soprattutto al Nord (63%, anche se il dato sul Sud e' falsato dalla vasta area del sommerso), il lavoro precario riguarda nel 54% dei casi le professioni intellettuali e tecniche, dunque qualificate: mentre solo il 6,5% dei precari svolge professioni non qualificate. Il rapporto della Cgil mette in evidenza anche come il lavoro dei collaboratori, che formalmente sono autonomi, sia molto simile se non identico a quello dei lavoratori dipendenti, se non fosse che costano alle aziende il 40% in meno. L'89% dei collaboratori lavora per una sola azienda, il 78% lavora in ufficio e il 61% non puo' decidere autonomamente l'orario di lavoro. Infine, a due anni dall'entrata in vigore della legge Biagi, i vecchi co.co.co sono stati ''travasati'' nella categoria dei co.co.pro., mentre solo una minima quota e' riuscita a passare al lavoro dipendente: la possibilita' di ascesa sociale si e' dunque ulteriormente ridotta. Coloro che nel 2004 lavoravano come collaboratori, lo erano anche un anno prima nel 74,7% dei casi, il 12,6% era dipendente e l'11,4% prestatore d'opera occasionale. Situazione simile per i collaboratori del 2003: un anno dopo l'88,2% e' rimasto nella stessa situazione, mentre solo il 4,9% ha avuto un contratto a tempo indeterminato e il 3,9% a tempo determinato. I lavoratori atipici, denuncia la Cgil, hanno ancora troppe poche tutele sociali: la legge 30 ha introdotto alcuni obblighi (come misure minime su malattia e maternita'), ma ''non sufficienti''. E, per quanto riguarda le pensioni, dopo 40 anni di contributi gli attuali collaboratori arriveranno a percepire 440 euro al mese. A fronte di questa situazione, la richiesta della Cgil, espressa dal segretario generale NIdiL Emilio Viafora, e' ''una nuova legislazione sul lavoro per abrogare l'impianto normativo alla base della legge 30, che confermi la centralita' del lavoro a tempo indeterminato come tipologia ordinaria dei rapporti di lavoro''.

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