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Fnsi 23 Ago 2004

Iraq, caso Baldoni. Free lance: quali regole per il loro lavoro? Intervento di Siddi e Vergani

Iraq, caso Baldoni. Free lance: quali regole per il loro lavoro? Intervento di Siddi e Vergani

Iraq, caso Baldoni. Free lance: quali regole per il loro lavoro? Intervento di Siddi e Vergani

Ansia per la condizione dei giornalisti di tutto il mondo che operano in Iraq e di preoccupazione per l'assenza di notizie di tre giornalisti occidentali, il free lance italiano Enzo Baldoni e due francesi, è stata espressa dal presidente della Federazione nazionale della stampa italiana Franco Siddi. "La cautela con cui le organizzazioni di categoria e le istituzioni nazionali e internazionali seguono la delicata vicenda vogliono esprimere - sottolinea l'esponente della Fnsi - fiducia in una svolta positiva e rapida". "Non è facile la distinzione tra il bene e il male, tra le armi e la parola messa al servizio della conoscenza della verità in un'area colpita dalla tragedia troppo grande degli scontri armati permanenti. La Fnsi e l'organizzazione internazionale di categoria, Ifj, costantemente da tempo si appellano - ricorda Siddi - alle forze militari sul campo e alle milizie islamiche perché risulti chiaro che i giornalisti non sono parte del conflitto nè espressione delle politiche nazionali dei loro Paesi. Con cautela e coerenza si muovono anche in queste delicatissime giornate. L'auspicio è di una svolta positiva". Per il presidente del sindacato unitario dei giornalisti, la vicenda che coinvolge il free lance Baldoni riporta ancora una volta alla luce la condizione di alta esposizione dei colleghi di frontierache corrono sempre qualche rischio in più e che rinunciano anche a misure di cautela per essere presenti sui fatti. "Sulle regole del loro ingaggio di lavoro occorre - osserva Siddi - una riflessione più attenta e disponibile anche da parte degli editori". Il presidente della Fnsi rileva, infine, che la situazione è oggettivamente difficile, ma va rilanciato l'impegno della comunità internazionale per la sicurezza dei giornalisti in una delle aree più martoriate delle terra. (ANSA). Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell'informazione visiva - Associazione lombarda dei giornalisti - -- Dopo il caso del pubblicitario-pubblicista scomparso in Iraq PER I FREELANCE IN ZONE DI GUERRA QUALI REGOLE D'INGAGGIO E QUALI CONDIZIONI DI LAVORO ? ________ Il caso del pubblicitario e pubblicista, Enzo Baldoni, 56 anni, scomparso da tre giorni mentre si trovava in Iraq per il settimanale Diario, torna a riproporre una lunga serie di interrogativi e di problematiche sul ruolo, sulle condizioni di lavoro e sulle regole di ingaggio per i freelance, fotogiornalisti in testa, impegnati in aree ad altissimo rischio, soprattutto quando vi operano per conto di una precisa testata o di una specifica agenzia. Sull'argomento, senza dimenticare il caso scandaloso di Raffaele Ciriello, chirurgo milanese ucciso due anni fa in Palestina mentre copriva il ruolo di fotoreporter "inviato" nientemeno che dal "Corriere della Sera", devono essere fatte riflessioni per individuare precise regole da imporre agli editori nell'ormai imminente rinnovo del Contratto nazionale di lavoro giornalistico. Qualche spunto per iniziare tutti gli approfondimenti del caso ce l'ha offerto oggi lo stesso Corriere, con un articolo di Francesco Battistini sulla "tribù" dei freelance italiani specializzati in zone di guerra e in tutti gli altri "epicentri" dell'alto rischio. Eccolo qui di seguito. ___Amedeo Vergani ( Dal sito Corriere.it ) Free lance UNA TRIBU' NOMADE A CACCIA DI SCOOP La fatica di pazzare notizie che gli altri non hanno, da posti in cui magari gli altri non vanno Da uno dei nostri inviati BAGDAD - I voli Milano-Londra a 10 euro sono roba da dilettanti. Nelle zone di guerra, esiste una tribù nomade che s'arrangia con meno: s'infila sugli aerei del World Food Programme , dorme in case d'amici per caso, mangia quando capita e si gioca la pelle per un pezzo, uno scatto, una ripresa. Antonio Russo, il reporter di Radio Radicale ucciso in Georgia, era uno capace d'alloggiare due settimane in un campo profughi kosovari, sotto le tende, o di partecipare alle imboscate militari dell'Uck o di stare nascosto, unico, nelle case albanesi di Pristina durante la pulizia etnica serba. Raffaele Ciriello, il fotoreporter ammazzato a Ramallah, spariva coi pastori sulle montagne dell'Afghanistan e correva dietro ai tanzim dell'intifada ed è morto per aver voluto guardare con l'obbiettivo nella bocca di fuoco d'un tank israeliano. Li ha dimenticati in fretta, chi non li conosceva, perché Russo e Ciriello non erano della casta eletta che si premia a ogni trasferta: una conferenza stampa dei radicali per chiedersi chi abbia voluto la fine di Antonio, una lapide palestinese dove il nome di Raffaele è perfino scritto sbagliato. Pace e amen. Vita da freelance. Quelli pagati ad articolo o a collegamento, più ne fai più guadagni, le spese di solito escluse, la fatica di piazzare merce che gli altri non hanno da posti in cui gli altri magari non vanno. Da quando hanno decapitato Daniel Pearl, firma del Wall Street Journal , gli inviati mettono piede in Pakistan se proprio si deve: inglesi e americani, la stessa Cnn usano i locali, così come facevano i francesi nell'Algeria degli sgozzamenti o com'è nell'impossibile Mogadiscio. Tutti freelance, coi contatti giusti e la rapidità che serve, a volte one man band che in un giorno riscrivono lo stesso pezzo per quattro o cinque testate. Rischiano parecchio, i freelance. E vanno anche al di là del troppo. Ce n'è che cominciano a metà del cammino, vedi Enzo Baldoni che fino a 50 anni faceva solo il pubblicitario o Franco Pagetti, allievo del grande Natchwey, passato dai clic patinati alle morgue irachene. E ce n'è di più giovani, Barbara Schiavulli, una collega che da Gerusalemme a Haiti, da Kabul a Bagdad non si perde una crisi e riesce a «coprire» sul posto anche per un innegabile vantaggio: è di pelle creola e tratti orientaleggianti, l'ideale per passare inosservati nella caccia all'occidentale di Najaf o di Falluja. I freelance per eccellenza sono i fotografi, Mauro Sioli o Livio Senigallesi, obbligati alla corsa a ostacoli d'una tecnologia che fa arrivare in tempo reale le immagini di tutto: «Entrare in concorrenza con le grandi agenzie non ha senso - dice Pigi Cipelli, base a Milano e anni di reportage dai Balcani all'Iraq -. Più che puntare su immagini che mostrano l'avvenimento, meglio andare su quelle che lo spiegano». Come girare in pattuglia di notte, per le vie di Bagdad: gli occhi atterriti d'un arrestato, lo sguardo spaventato uguale d'un marine. Avere qualcosa di più. Per questo si può morire: capitò ad Almerigo Grilzz, 1987, Mozambico. O ci si può andare vicini, come Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, «storici» freelance che sono stati colpiti (Fausto in Afghanistan) o hanno rischiato: partito in macchina da Bagdad per Nassiriya, poche settimane fa, Gian è incappato in un posto di blocco di sadristi e solo la prontezza del suo autista («sdraiati, fingi di dormire, dirò io che sei un giordano!») gli ha salvato la pelle. Qualche volta, con la tribù nomade, sbarcano anche i turisti della guerra: signore annoiate, esaltati, autentici psicopatici. A Sarajevo, ci fu un tale che s'inventò d'essere stato rapito. Tornò a casa, si prese due ceffoni dalla mamma e capì la lezione. Non s'è più visto. Francesco Battistini 22 agosto 2004

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