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Il giornalista Ali Ergin Demirhan (Foto: sendika62.org)
Internazionale 06 Lug 2018

Turchia, un altro cronista in manette. Fnsi: «Inaccettabile. Il giornalismo non è un crimine»

Ali Ergin Demirhan, del sito di notizie sendika.org, è stato prelevato dalla polizia e portato in cella per aver 'osato' esprimere commenti negativi sui social dopo l'esito del voto del 24 giugno. Stessa sorte gli era toccata, per lo stesso motivo, all'indomani del referendum costituzionale del 27 aprile.

Il giornalismo non è un crimine. E criticare chi detiene il potere politico non può costare la galera. La Federazione nazionale della Stampa italiana esprime «solidarietà e vicinanza» nei confronti di Ali Ergin Demirhan, giornalista turco del sito di notizie sendika.org, che rischia, di nuovo, di dover fare i conti con la prigione per via dei commenti che ha pubblicato sui social media dopo le elezioni del 24 giugno in Turchia.

Lo scorso 28 giugno la polizia ha fatto irruzione nella redazione del giornale online, a Istanbul, buttando giù la porta e prelevando il giornalista in forza di un mandato di cattura spiccato per le sue posizioni critiche nei confronti delle autorità.

E non è la prima volta che il governo turco, che in passato ha più volte oscurato il sito web del giornale, ordina misure cautelari nei confronti di Ali Ergin Demirhan. Era avvenuto già all'indomani del referendum costituzionale del 27 aprile 2018, sempre per lo stesso motivo: il giornalista, semplicemente facendo il suo lavoro, aveva 'osato' criticare il risultato del voto e per questo è rimasto sei giorni in cella. Questa volta il fermo è durato meno: dopo essere stato ascoltato dal pubblico ministero è stato rilasciato.

«Quanto accaduto – commenta la Fnsi – è inaccettabile. Fatti del genere succedono solo dove la stampa non è libera. E dove non c'è una stampa libera, non può esserci democrazia. Siamo sicuri che sendika.org non si lascerà imbavagliare».

Proprio oggi, un tribunale di Istanbul ha condannato sei giornalisti a pene detentive comprese tra gli otto anni e nove mesi e i dieci anni e sei mesi dopo averli giudicati colpevoli di 'sostegno ad organizzazione terroristica'. Si tratta di giornalisti del quotidiano Zaman, chiuso nel marzo 2016, in quanto ritenuto il megafono della rete golpista di Fethullah Gulen, accusato di essere la mente del golpe fallito il 15 luglio di due anni fa. Altri 5 reporter sono invece stati sollevati dalle accuse.

Sono stati condannati a dieci anni e sei mesi l'ex caporedattore di Ankara Mustafa Unal e l'editorialista Mumtazer Turkone; a nove anni il giornalista Ibrahim Karayegen e a otto anni e nove mesi gli editorialisti Sahin Alpay, Ali Bulac e Ahmet Turan Alkan.

@fnsisocial

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