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Osservatorio sui media 27 Ott 2005

Giornalista rapito: “Non smettiamo di informare sull’Iraq, dall’Iraq”

Il corrispondente del Guardian Rory Carroll, rapito e successivamente rilasciato in Iraq, ha lanciato un appello ai colleghi giornalisti affinché si continui il lavoro nelle zone di guerra.

Il corrispondente del Guardian Rory Carroll, rapito e successivamente rilasciato in Iraq, ha lanciato un appello ai colleghi giornalisti affinché si continui il lavoro nelle zone di guerra.

(Astro9colonne) - Londra, 27 ott - Il corrispondente del Guardian Rory Carroll, rapito e successivamente rilasciato in Iraq, ha lanciato un appello ai colleghi giornalisti affinché si continui il lavoro nelle zone di guerra. Nonostante la sua terribile esperienza e una difficile situazione per i reporter in Iraq, colpiti questa settimana da due attacchi agli hotel di Baghdad che li ospitano, il giornalista ha dichiarato la volontà di tornare in Iraq e si è rivolto ai colleghi occidentali: “Non rinunciamo al nostro lavoro, continuiamo a seguire la situazione”. Il Guardian ha richiamato tutto lo staff presente a Baghdad ma Carroll ha detto alla Press Gazette che “la stampa britannica, così come i media occidentali in genere, non dovrebbero rinunciare. Sono preoccupato anch’io per il clima che si vive nella zona ma - ha aggiunto - non trovo giusto né necessario richiamare tutti i giornalisti. Esiste un problema di sicurezza in Iraq, e in particolare a Baghdad, e nessuna organizzazione è attualmente in grado di difendere efficacemente gli inviati. Ma l’Iraq deve essere coperto in qualche modo poiché la sua storia è importante e complessa. Ci sono talmente tante sfumature in questa vicenda che soltanto stando lì si possono davvero comprendere e raccontare”. A Londra, la notizia del sequestro di Carroll ha spinto l’editore Alan Rusbridger, il responsabile del Guardian Chris Elliott, l’amministratore delegato Carolyn McCall e il capo delle relazioni pubbliche Shaun Williams a formare un “comitato di crisi”. Carroll è convinto che le pressioni della stampa britannica e internazionale, quelle del governo inglese e quelle di esponenti delle comunità religiose musulmane abbiano “fortemente contribuito al felice esito” della sua vicenda personale.

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