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Il Tribunale di Potenza
Associazioni 24 Dic 2016

Condannati per diffamazione per aver scritto della moglie del magistrato, Assostampa Puglia: «Sconcerto e allarme»

Il giudice del tribunale di Potenza ha condannato due giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno per aver diffamato un magistrato in servizio a Taranto. Magistrato che i colleghi «hanno solo citato in due articoli riguardanti un concorso universitario che vedeva tra i concorrenti sua moglie», spiega l'Assostampa Puglia. Che accoglie la sentenza con «sconcerto e allarme».

Suscita sconcerto e allarme, nel sindacato dei giornalisti pugliesi, la sentenza con la quale il giudice del tribunale di Potenza ha condannato due cronisti della Gazzetta del Mezzogiorno per aver diffamato un magistrato in servizio a Taranto, «soltanto perché citato in due articoli riguardanti un concorso universitario che vedeva tra i concorrenti sua moglie», spiega l'Associazione della Stampa di Puglia.

«Il giudice del tribunale di Potenza, Gerardina Romaniello, ha inteso così far passare – rileva l'Assostampa  – un principio che il sindacato dei giornalisti e tutti coloro i quali hanno a cuore la libertà di stampa non possono proprio accettare, ovvero che non si può parlare dei magistrati».

In base alle motivazioni della sentenza di condanna, infatti, i due colleghi avrebbero sbagliato a citare il magistrato in quanto la vicenda che riguardava sua moglie "non aveva interesse pubblico".

«Eppure – osserva il sindacato regionale - già il solo trasferimento dell'inchiesta ad un Tribunale diverso da quello di Taranto, dove esercitava il magistrato in questione e dove era avvenuto il concorso oggetto dell'indagine, dovrebbe far riflettere sull'interesse pubblico che tale vicenda riveste in virtù delle relazioni familiari ad essa sottese e sul diritto di cronaca esercitato dai colleghi a tutela della più completa informazione dei cittadini pugliesi su questioni che attengono la magistratura come qualsiasi altra istituzione dello Stato».

D'altro canto, secondo il sindacato regionale «la difesa corporativa che invece emerge da tale sentenza non può passare sotto silenzio e, siamo sicuri, troverà spazio per chiarimenti nell'inevitabile processo d'appello, giacché nessuno, tanto meno i magistrati, possono o debbono sentirsi immuni dal diritto di cronaca e dal diritto di verifica di quanto fanno».

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