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Internazionale 17 Gen 2007

Addio regola delle 5 W: il giornalismo on-line scopre “la legge di Google”

Una volta ai giornalisti veniva insegnata la regola delle “5 W”: assicurarsi che nelle prime righe del pezzo ci fossero le informazioni fondamentali per orientare il lettore, riassunte dai termini inglesi who, where, what, when e why (chi, dove, cosa, quando e perché).

Una volta ai giornalisti veniva insegnata la regola delle “5 W”: assicurarsi che nelle prime righe del pezzo ci fossero le informazioni fondamentali per orientare il lettore, riassunte dai termini inglesi who, where, what, when e why (chi, dove, cosa, quando e perché).

Oggi però, nell’era del giornalismo on-line, la regola sembra essere sorpassata da un’altra: quella di Google. Sono infatti sempre di più i quotidiani americani e inglesi che nel tentativo di espandere il bacino di lettori “comprano” parole o frasi sul più noto motore di ricerca del web, in modo che quando un navigatore inserisce una determinata parola appaia in cima alla lista dei risultati un link, appositamente evidenziato, che riporta a una pagina web del quotidiano che tratta l’articolo in questione. Recentemente, hanno usufruito di questo servizio il Daily Telegraph, che ha acquistato la frase “Corea del Nord Test Nucleari”, oppure il Sun, che ha comprato “George Bush”, mentre altre testate hanno fatto lo stesso con “Nancy Pelosi”. E se Google è un ottimo veicolo pubblicitario per i quotidiani on-line, è pur vero che i suoi servizi non sono proprio economici: per acquistare una parola i giornali pagano infatti una cifra minima di 19 centesimi di dollaro ogni volta che qualcuno clicca sul link. Cifra che però può arrivare fino a due dollari, in caso di parole particolarmente richieste. Nelle scorse settimane ad esempio il Times e il Telegraph si sono contesi la parola “Ashes”, nome di un torneo annuale di cricket fra Inghilterra e Australia, estremamente popolare fra i sudditi di Elisabetta II, in una vera e propria asta: succedeva così che il link del Times fosse posto al di sopra di quello del Telegraph o viceversa, a seconda di chi quel giorno aveva pagato di più. Da sottolineare inoltre che lo stesso Telegraph aveva comprato anche la parola “Ahses”, per catturare quei navigatori che avessero effettuato una ricerca “col refuso”. Il Times dal canto suo sta però già mettendo in pratica un nuovo sistema per apparire in cima alla lista di Google senza dover sborsare dei soldi per ogni clic. E’ stato infatti chiesto ai redattori che scrivono articoli destinati a finire sul web di assicurarsi che le parole chiave di una potenziale ricerca siano contenute nelle primissime righe del pezzo e nel titolo, così da ottenere in pratica lo stesso effetto del servizio di pubblicità a pagamento. Se ad esempio il pezzo tratta del caso Litvinenko, il giornalista dovrà far stare nell’attacco del pezzo parole come “spia”, “polonio”, “avvelenamento”, “Londra”, “Cremlino”: la regola di Google. (9Colonne)

@fnsisocial

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