«C'è un rumore di fondo che attraversa il nostro tempo: guerre, radicalismi, intolleranze, manipolazione digitale... Dentro quel rumore la libertà e la democrazia sembrano spesso voci isolate, ma sono le uniche che vale la pena continuare ad ascoltare. E sono voci che chi come noi fa informazione e cultura deve sostenere, proteggere, amplificare». Comincia così la lettera al direttore, pubblicata sul Corriere della Sera di domenica 19 ottobre 2025, a firma di Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e di Mondadori.
«Oggi - sottolinea Marina Berlusconi - le prime cinque BigTech assieme - Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon - sono arrivate a superare il Pil dell'area euro. Ma attenzione: ridurre tutto ai valori economici non basta, il potere dei giganti della tecnologia va ben oltre. È un potere che rifiuta le regole, cioè la base di qualsiasi società davvero funzionante. Noi editori tradizionali paghiamo le tasse, rispettiamo le leggi, tuteliamo il diritto d'autore e i posti di lavoro - basti pensare che in Italia le piattaforme occupano appena un trentesimo dei lavoratori del settore. Eppure, quasi due terzi del mercato pubblicitario globale vengono inghiottiti dai colossi della Silicon Valley, che fanno esattamente il contrario: per dirla con il titolo del saggio firmato dalla ex-Meta Sarah Wynn-Williams, sono Careless People, “gente che se ne frega”».
Marina Berlusconi prosegue: «È concorrenza sleale bella e buona. Ben venga, dunque, il Digital Package varato dall'Ue tra il 2016 e il 2024 a tutela degli utenti delle piattaforme. Per Donald Trump va smantellato, perché è un ostacolo: in teoria al progresso, più realisticamente al profitto, che, sia ben chiaro, è fondamentale: da imprenditore non sarò certo io a negarlo. Ma sono anche convinta che un mercato sia veramente libero solo quando risponde a regole. Non troppe e soprattutto giuste - in questo l'Europa spesso inciampa. Mi auguro davvero che sul digitale la Commissione non indietreggi, anche - e forse soprattutto - alla luce della enorme capacità di influenza culturale nelle mani di BigTech. Non è più solo un problema degli editori, riguarda tutti».
Berlusconi sottolinea poi che, «a differenza dei media tradizionali, le piattaforme prosperano in un far-west dove nessuno risponde di quello che ha scritto, l'importante sono i clic. E così si solleva la marea delle fake news, del linguaggio d'odio, del rifiuto delle opinioni diverse. In sintesi, il brodo culturale della polarizzazione e della radicalizzazione, in cui affoga purtroppo anche la politica".
La presidente di Fininvest e Mondadori prosegue: «Lo sappiamo, ma è bene ricordarlo: questi colossi non sono più solo aziende private, sono attori politici. Con una differenza sostanziale rispetto a chi fa politica di mestiere: i padroni della Silicon Valley restano sempre al loro posto. Grazie a una buona dose di ipocrisia, sono passati dal wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di felpa. Del resto, nell'era della polarizzazione si sbanda da un eccesso all'altro. Ma intanto libertà e democrazia rischiano di finire stritolate nella morsa degli opposti, che distrugge il dialogo e alimenta l'intolleranza".
Berlusconi continua: «È un pericolo - avverte Marina Berlusconi - che non si scongiura certo alzando barricate contro il progresso. Come dice Ellul, 'non possiamo più mettere l'essere umano da una parte e gli strumenti dall'altra': la rivoluzione digitale è ormai in ogni nostro gesto. E poi sarebbe anche sbagliato. La tecnologia ha portato enormi miglioramenti in molti aspetti della nostra vita, tanto che siamo disponibili a barattarne le comodità con i nostri dati personali, sottovalutandone le dirompenti conseguenze.
La lettera si conclude con una provocazione: «E se proprio nell'era del 'Muoviti veloce e rompi tutto' - il motto di Zuckerberg - ci trovassimo a riscoprire la forza lenta, ma costruttiva dei cari vecchi libri? I libri - sostiene - sono da sempre efficaci anticorpi contro barbarie e totalitarismo, ma oggi assumono anche una funzione nuova: quella di anticorpi contro l'assottigliamento del pensiero imposto dallo smartphone, veri e propri strumenti di resistenza contro l'omologazione digitale». (anc)