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Cronaca 26 Mag 2006

Una Carta per l'informazione giudiziaria che sappia coniugare diritto di cronaca e rispetto della persona: seminario nazionale in carcere a Padova tra detenuti e giornalisti Gli atti del convegno

Una giornata nazionale di studi sulla condizione carceraria si è tenuta all'interno del carcere di via Due Palazzi a Padova, di fronte ad una variegata platea di centinaia di persone, tra le quali molti detenuti. Vi hanno partecipato operatori carcerari, rappresentanti dell'istituzione carceraria, rappresentanti dell'Ufficio del Garante per la Privacy, dei detenuti e dei giornali prodotti nelle carceri italiane, giornalisti, rappresentanti dell'Ordine nazionale e degli Ordini regionali del Veneto e dell'Emilia Romagna, della Giunta esecutiva della Fnsi. Obiettivo: l'istituzione di una Carta per l'informazione giudiziaria.

Una giornata nazionale di studi sulla condizione carceraria si è tenuta all'interno del carcere di via Due Palazzi a Padova, di fronte ad una variegata platea di centinaia di persone, tra le quali molti detenuti. Vi hanno partecipato operatori carcerari, rappresentanti dell'istituzione carceraria, rappresentanti dell'Ufficio del Garante per la Privacy, dei detenuti e dei giornali prodotti nelle carceri italiane, giornalisti, rappresentanti dell'Ordine nazionale e degli Ordini regionali del Veneto e dell'Emilia Romagna, della Giunta esecutiva della Fnsi. Obiettivo: l'istituzione di una Carta per l'informazione giudiziaria.

«Esistono già regole e principi per l'informazione giudiziaria, ma è utile la proposta di una specifica Carta dove far confluire tutte le indicazioni che, in modo non organico, sono presenti nel nostro sistema». Lo ha affermato Mauro Paissan, componente del Garante per la privacy, intervenendo oggi alla Giornata di studi nazionale 'Dalle notizie 'da bar'alle 'notizie da galerà', alla Casa di reclusione di Padova. L'approvazione di una Carta - ha sottolineato Paissan - oltre al valore di un impegno dei giornalisti sul piano della deontologia professionale «sarebbe anche un'utile occasione per sensibilizzare il mondo dell'informazione al rispetto dei diritti di chi si trova esposto, insieme ai propri familiari, alla cruda esibizione dei propri fatti di vita di fronte alla pubblica opinione e spesso alla pubblica curiosità». Paissan ha ricordato i principi, in parte posti dal codice deontologico dei giornalisti del 1998, che devono sovrintendere al delicato lavoro di chi fa informazione giudiziaria: rispetto della dignità della persona; tutela assoluta dei minori e, più in generale, di tutti i soggetti deboli, a partire dalle vittime dei reati; divulgazione dei nomi delle persone indagate o arrestate solo nel rispetto del segreto investigativo; diritto all'oblio (cioè a non vedere riproposta anche a distanza di molti anni la propria vicenda giudiziaria); divieto di pubblicare foto segnaletiche o foto della persona in manette o in stato di detenzione senza il consenso dell'interessato, caso nel quale entra in gioco «la responsabilità del giornalista cui è sempre affidato il compito di valutare se pubblicare immagini di questo tipo». Quanto al tema specifico della giornata e alla necessità di bilanciare i diritti fondamentali delle persone detenute con i diritto di cronaca, il componente del Garante ha sottolineato che anche nella dialettica tra potere punitivo dello Stato e tutela della dignità della persona umana dovrebbero trovare riconoscimento alcuni spazi di riservatezza anche all'interno del carcere. Ricordando come nell'attività del Garante si confrontino costantemente due pilastri della società democratica, diritto all'informazione e diritti fondamentali della persona, Paissan ha concluso affermando che «molti passi avanti sono stati fatti in questi ultimi anni, ma altrettanti ne devono essere fatti per assicurare dignità e rispetto anche a chi è coinvolto in un procedimento giudiziario». All'incontro, promosso dal Centro documentazione Due Palazzi, dalla Casa di Reclusione, e dalla Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia, hanno partecipato, per l'esecutivo dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti, Claudio Santini, per gli Ordini Regionali del Veneto e dell'Emilia Romagna, rispettivamente i presidenti Maurizio Paglialunga e Gerardo Bombonato. Per la Giunta esecutiva della Fnsi, Enrico Ferri. Pubblichiamo il testo della bozza elaborata dal centro di documentazione del carcere Due Palazzi assieme alla redazione di "Ristretti Orizzonti" e proposta ad una commissione che si è riunita ne pomeriggio di venerdì alla quale hanno partecipato magistrati, giornalisti , fororeporter e detenuti. Nei prossimi giorni pubblicheremo la bozza elaborata dall'Ufficio del Garante della Privacy che era presente al seminario e che supera e integra la presente. Seguiremo inoltre i lavori della commissione pubblicandone gli atti. Ipotesi di “Carta di Padova” da perfezionare e sottoscrivere da: Consiglio nazionale Ordine giornalisti Federazione nazionale Stampa italiana Federazione nazionale dei giornali dal carcere Ordine dei giornalisti e FNSI, nella convinzione che l’informazione debba ispirarsi e rispettare i principi e i valori su cui si radica la nostra Costituzione, e in particolare quelli espressi nell’articolo 27: La responsabilità penale è personale L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato - si impegnano a promuovere fra i propri iscritti e associati una maggiore e più diffusa consapevolezza che un autore di reato è comunque una persona, indipendentemente dalla minore o maggiore gravità del reato commesso, e che gli va riservato pertanto un trattamento non lesivo della sua dignità personale; ciò tanto più deve valere per coloro che sono sotto indagine o su cui pesano condanne solo di primo e di secondo grado, nei confronti dei quali deve sempre essere concretamente applicato il principio costituzionale di non colpevolezza in assenza di condanna definitiva; - garanzie e tutele ancora più scrupolose devono essere assicurate ai familiari delle persone indagate, sotto processo o condannate in via definitiva: lo impone la stessa Carta costituzionale, affermando il carattere personale della responsabilità penale e ammonendo implicitamente, quindi, a tutelare l’onorabilità, la dignità e il diritto alla privacy di tutte le persone non direttamente responsabili di reati; - fatta eccezione per i soli casi in cui risultino evidenti complicità nella progettazione e/o esecuzione di atti delittuosi, e quindi inequivoche responsabilità personali, i familiari delle persone indagate, sotto processo o condannate in via definitiva vanno considerati a tutti gli effetti “vittime indirette” dei reati attribuiti o effettivamente commessi dai loro congiunti, e quindi “soggetti deboli” per cui deve valere quanto disposto all’articolo 114, comma 6, del nuovo Codice di procedura penale (divieto di pubblicazione “delle generalità e dell’immagine di minori, testimoni, persone offese e danneggiate”); - nel caso di minori (figli o fratelli o minori comunque legati da vincolo di parentela o di convivenza alle persone indagate, sottoposte a processo o condannate in via definitiva) devono essere scrupolosamente applicate le norme di autodisciplina di cui i giornalisti si sono responsabilmente dotati sottoscrivendo assieme a Telefono Azzurro la Carta di Treviso, nella quale Ordine dei giornalisti e Federazione nazionale della stampa si dichiarano “consapevoli che il fondamentale diritto all’informazione può trovare dei limiti quando venga in conflitto con diritti fondamentali delle persone meritevoli di una tutela privilegiata”; Per quel che riguarda i limiti che vanno responsabilmente posti al diritto di informazione, per evitare che degeneri in indiscriminata e devastante invadenza nella vita delle persone, Ordine dei giornalisti e FNSI raccomandano ai loro iscritti e associati diattenersi con scrupolo - anche nei confronti delle persone indagate, sotto processo o già condannate in via definitiva - ai principi generali contenuti nella Carta dei doveri del giornalista del 1993, con particolare riferimento ai seguenti: Il giornalista rispetta il diritto alla riservatezza di ogni cittadino e non può pubblicare notizie sulla sua vita privata se non quando siano di chiaro e rilevante interesse pubblico I nomi dei congiunti di persone coinvolte in fatti di cronaca non vanno pubblicati a meno che ciò non sia di rilevante interesse pubblico - i giornalisti sono invitati inoltre a fare costante e attento riferimento alle direttive in materia contenute nella legge 675 del 1996 relativa alla privacy, che all'art. 1 fa specifico riferimento ai diritti, alle libertà fondamentali e al rispetto della dignità personale, e allo stesso Codice di deontologia professionale che l’Ordine dei giornalisti ha messo a punto con la collaborazione del Garante della privacy. Esso contiene fra l’altro una precisa norma in cui si afferma che in “particolari situazioni”, come degenza ospedaliera e detenzione carceraria, la dignità della persona ha un “bisogno particolare di tutela”; - per quel che riguarda il pur diverso status giuridico dei condannati definitivi rispetto agli indagati e ai detenuti in attesa di giudizio, si ricorda che l’ex Garante della privacy Stefano Rodotà, interpellato in merito, ha affermato che, essendo quello della privacy “un diritto fondamentale della persona”, esso deve “essere tutelato comunque nella situazione carceraria”, e che “la condanna definitiva - a parte i suoi effetti specifici, che possono indirettamente incidere sul trattamento dei dati personali - non indebolisce la tutela. Ci possono essere delle norme particolari, però in via generale credo che i criteri di base debbano essere tenuti fermi anche in questo caso". (Intervista pubblicata da “Le due città”, periodico mensile dell’Amministrazione penitenziaria). Ordine dei Giornalisti e FNSI ricordano ai loro iscritti e associati che i suindicati forti richiami al rispetto della privacy e della dignità personale vanno estesi all’uso delle fotografie, delle immagini video e dei mezzi audiovisivi in genere, sia per quel che riguarda i familiari che gli stessi responsabili di reato; - si richiama in proposito quanto stabilito dall’articolo 14 della legge 479 del 16 dicembre 1999: E’ vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi, ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta - si ricorda altresì quanto affermato in materia di diffusione di immagini che riproducano arrestati dal Garante della privacy in data 2 luglio 1997, e cioè che va tutelata come dato personale qualsiasi informazione che consenta di identificare un soggetto, quindi anche le fotografie; - si ricorda inoltre che nella stessa occasione il Garante censurava come non legittimo lo stesso comportamento delle Forze dell’ordine che, durante le conferenze stampa illustrative di operazioni di polizia, mostrano o addirittura forniscono agli operatori dei mezzi di informazione foto degli arrestati, se non addirittura di semplici indagati; - a rafforzare il divieto di pubblicare fotografie e immagini video lesive della dignità della persona concorre anche l’articolo 8 (“Tutela della dignità delle persone”) del Codice di deontologia sulla privacy, una norma che impegna i giornalisti “a non pubblicare fotografie o immagini di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona e a non soffermarsi su dettagli di violenza a meno che si ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine. Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati motivi ai fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né riproduce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato”. Ordine dei giornalisti e FNSI raccomandano inoltre il dovere morale di garantire il diritto all’oblio alle persone che già hanno pagato per i reati commessi, che si sono positivamente reinserite o che sono tuttora impegnate nel difficile e delicato percorso del reinserimento sociale (che è, si ribadisce, un diritto costituzionalmente riconosciuto); - più che a norme specifiche, si fa riferimento in questo caso ad alcune importanti pronunce giurisprudenziali che riconoscono il principio secondo cui una persona che già ha pagato per le proprie colpe e che si è positivamente reinserita in società non deve vivere sotto la dannazione di un passato incancellabile, che possa essergli scaraventato addosso in qualsiasi momento e senza alcuna valida giustificazione; - si ricorda in particolare quanto scritto in sentenza dai giudici del Tribunale di Roma in data 15 maggio 1995, a conclusione di una causa per diffamazione intentata a un quotidiano romano da una persona riproposta alle cronache per un delitto avvenuto molti anni prima, nonostante il suo recupero sociale ormai pienamente avvenuto: “la ripubblicazione, dopo circa 30 anni dall'accaduto, di un grave fatto di cronaca nera, con la fotografia del reo confesso, ai fini di mera promozione commerciale, costituisce diffamazione a mezzo stampa non trattandosi di notizia di pubblico interesse e perciò inidonea ad integrare gli estremi del legittimo esercizio del diritto di informazione e di cronaca”; - si ricordano altresì, a dimostrazione di quanto sia facilmente vulnerabile e di quanto vada perciò tutelato il diritto all’oblio, specie nell’era dell’informazione a tutto campo offerta da internet, i richiami che il Garante della privacy ha recentemente rivolto a Google, in cui si sostiene che “occorre garantire agli interessati il diritto di correggere i dati provenienti dalle pagine web" e, dunque, che le "informazioni presenti nei motori di ricerca devono essere aggiornate”. Alla luce delle argomentazioni esposte, Ordine dei giornalisti e Federazione nazionale della stampa italiana si impegnano, per le rispettive competenze: - a individuare strumenti e occasioni che consentano di sviluppare, nei giornalisti che si occupano di “giudiziaria” e di cronaca nera, una più corretta e approfondita conoscenza delle specifiche tematiche del carcere e dell’esecuzione penale, nonché una più attenta sensibilità nei confronti dei diritti delle persone indagate e sotto processo, dei loro familiari e degli stessi detenuti già giudicati in via definitiva; - a prevedere che nei testi di preparazione all’esame professionale venga incluso un capitolo specificamente dedicato all’esecuzione penale e alle norme che la regolano (Ordinamento penitenziario); - ad allargare il raggio delle fonti di informazione attivando un filo diretto con la Federazione dell’informazione dal carcere e sul carcere, con le Associazioni di volontariato operanti in carcer (Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia)e, e – laddove sono già in funzione – con gli uffici dei Garanti delle persone private della libertà personali; - a coinvolgere nell’approfondimento di questi delicati temi l’ufficio del Garante della privacy, fondamentale autorità di garanzia per tutti i cittadini, non esclusi quelli che hanno perduto la libertà e i loro familiari; - a richiamare i responsabili delle reti televisive nazionali a una maggiore attenzione ai diritti delle persone indagate e sotto processo, dei loro familiari e degli stessi detenuti già condannati anche nelle trasmissioni di intrattenimento. È infatti sempre più spesso in questo genere di programmi televisivi che la “spettacolarizzazione” dei fatti di cronaca raggiunge le sue espressioni più plateali e talvolta aberranti; - a elaborare un codice di autodisciplina che fissi una “data di scadenza” oltre la quale non sia più possibile scavare nel passato di persone che hanno già pagato per i propri errori e che a fatica si stanno reinserendo positivamente nella società (quando i mezzi di informazione parlano di ex detenuti per ragioni diverse dai reati che li avevano portati in carcere, continuano spesso a citare i reati compiuti anche a condanna espiata); il “diritto all’oblio” è una condizione irrinunciabile del reinserimento, ma mai è stato tanto a rischio come nell’era della spettacolarizzazione giornalistico-televisiva della cronaca e di internet; - a diffondere la consapevolezza che senza rispetto per chi sta pagando per i propri errori non può esserci piena attuazione dell’articolo 27 della Costituzione, laddove sancisce che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”. Senza rispetto non può esistere rieducazione, ma solo afflizione.

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