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Diffamazione 06 Feb 2014

Cassazione: meno lacci per i cronisti dei 'Palazzi'

I giornalisti dei 'Palazzi', quelli che scrivono di cronaca giudiziaria e di politica - ad avviso della Cassazione - svolgono una attività che "non si sostanzia nella semplice riproduzione di un fatto, ma è soprattutto quella di elaborazione e valutazione del fatto riferito, per fornire una interpretazione necessariamente personale delle vicende narrate".

I giornalisti dei 'Palazzi', quelli che scrivono di cronaca giudiziaria e di politica - ad avviso della Cassazione - svolgono una attività che "non si sostanzia nella semplice riproduzione di un fatto, ma è soprattutto quella di elaborazione e valutazione del fatto riferito, per fornire una interpretazione necessariamente personale delle vicende narrate".

Con queste parole la Suprema Corte - accogliendo un ricorso del gruppo L'Espresso contro la condanna al risarcimento danni da diffamazione per un articolo del 1997 sull'indagine aostana 'Phoney Money', uno dei capitoli di Tangentopoli - amplia i confini della libertà di espressione dei giornalisti invitando i giudici di merito a non 'punire' gli articoli che intrecciano i fatti alle opinioni di chi scrive.
"Il limite alla libertà di manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita - affermano gli 'ermellini' nella sentenza 1982 della Terza sezione civile - non è quello di non ledere l'altrui reputazione ma, rispettata la verità dei fatti e la continenza, quello di non trasformarsi in aggressione gratuita all'onore ed alla reputazione di una persona che trascenda in attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato". Con questo verdetto la Cassazione ha annullato con rinvio per nuovo esame la decisione con la quale la Corte di appello di Roma, nel 2009, aveva detto sì al risarcimento di 25 mila euro a favore di Andrea Rigoni, ex responsabile del servizio di controllo interno delle Ferrovie dello Stato, proveniente dalla Guardia di Finanza.
Nell'articolo 'Taci, il colonnello ti ascolta', Peter Gomez raccontava di come Lorenzo Necci, all'epoca presidente delle Fs, sospettasse - come emergeva dai verbali di un suo interrogatorio - che il servizio di controllo avesse in realtà l'obiettivo di spiarlo. Il giornalista inoltre avanzava il dubbio che "tutta la complessa macchina" servisse per gettare discredito sul pool di Mani Pulite, soprattutto su Antonio Di Pietro. Ritiene la Cassazione che tutte le circostanze relative ai verbali di Necci sono "correttamente" riportate, e che tutta la vicenda ben poteva ingenerare nel cronista il "legittimo dubbio" circa "la legalità delle operazioni" del comparto audit interno delle Fs e legittimarlo ad avanzare "una spiegazione della vicenda diversa da quella sostenuta", al tempo, da Rigoni.  (ROMA, 6 FEBBRAIO - ANSA)

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