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Giudiziaria 22 Lug 2013

Il dna la scagiona e cancella un possibile errore giudiziario

L’8 agosto prossimo Rosamaria Aquino compirà 33 anni. Un’età che, per alcuni, rappresenta la stagione dell’affermazione professionale, per altri quella delle preoccupazioni per l’incertezza di un futuro scadenzato dal protrarsi di quell’attesa che Dino Buzzati descrisse nel suo memorabile “Deserto dei Tartari”.Trentatrè, comunque, sono gli anni di Cristo nella morte e nella Resurrezione. Una bella età, comunque. Rosamaria Aquino, giornalista professionista dal 18 giugno del 2010, questo mestiere l’ha sempre inteso e vissuto come una vocazione. Brava e intelligente, alle scorciatoie che avrebbe potuto imboccare approfittando dell’azienda di famiglia (lo zio Fausto era comproprietario del quotidiano “Calabria Ora”), ha scelto la gavetta. Nel giornale ha lavorato, ma senza privilegi di sorta. Anzi, è stata forse la più attiva e agguerrita componente del Comitato di redazione nelle battaglie condotte a difesa dei diritti dei colleghi.

L’8 agosto prossimo Rosamaria Aquino compirà 33 anni. Un’età che, per alcuni, rappresenta la stagione dell’affermazione professionale, per altri quella delle preoccupazioni per l’incertezza di un futuro scadenzato dal protrarsi di quell’attesa che Dino Buzzati descrisse nel suo memorabile “Deserto dei Tartari”.
Trentatrè, comunque, sono gli anni di Cristo nella morte e nella Resurrezione. Una bella età, comunque. Rosamaria Aquino, giornalista professionista dal 18 giugno del 2010, questo mestiere l’ha sempre inteso e vissuto come una vocazione. Brava e intelligente, alle scorciatoie che avrebbe potuto imboccare approfittando dell’azienda di famiglia (lo zio Fausto era comproprietario del quotidiano “Calabria Ora”), ha scelto la gavetta. Nel giornale ha lavorato, ma senza privilegi di sorta. Anzi, è stata forse la più attiva e agguerrita componente del Comitato di redazione nelle battaglie condotte a difesa dei diritti dei colleghi.

“Soldato semplice” a “Calabria Ora” dal 2008 al 2010, ma soprattutto con il coraggio di rimettersi in gioco lasciando un giornale che non sentiva più nelle sue corde. Un anno di parentesi lucana al “Quotidiano della Basilicata”, quattro mesi di collaborazione al “Quotidiano della Calabria” e tre mesi di sostituzione nello stesso giornale con la qualifica di redattore, fino al gennaio scorso. Poi la decisione di lasciare la Calabria. Perché?
Perché dal 7 luglio dello scorso anno è stata costretta a vivere un incubo durato, per fortuna, un solo anno. Un incubo causato da un madornale errore giudiziario che, purtroppo in tanti, invece, sono costretti a subire per lunghi anni prima di veder trionfare la giustizia. Senza contare quelli che sono costretti a congedarsi da questa terra portandosi nella tomba la beffa di un’ingiustizia che nessun tribunale terreno probabilmente finirà mai per riconoscergli.
I miracoli della tecnologia in materia di indagini giudiziarie per fortuna esistono e hanno dimostrato, grazie all’esame del Dna, che Rosamaria Aquino non è una terrorista, così come non lo è Michele Santagata, il giovane che, quella maledetta sera del 7 luglio 2012, era stato immortalato con lei, dalle telecamere di un negozio della zona, davanti ad una cabina telefonica nella quale la polizia aveva rinvenuto due bottiglie molotov, poche ore dopo la sentenza contro i poliziotti del G8 di Genova.
La Procura di Cosenza aveva, infatti, inviato due avvisi di garanzia a Rosamaria Aquino (che abita poco distante dalla cabina telefonica) e Michele Santagata, iscrivendoli nel registro degli indagati con l’accusa di porto illegale di esplosivi in luogo pubblico. Ebbene l’esame del Dna ha confermato che i due giovani non c’entrano nulla con quelle due bottiglie incendiarie, tanto che il Gip del Tribunale di Cosenza ne ha disposto l’archiviazione su richiesta della stessa Procura cosentina.
Ieri, “Il Quotidiano  della Calabria” ha pubblicato una lettera di Rosamaria che, sulla vicenda, se da un lato segna il trionfo della giustizia cancellando lo spettro di un madornale errore giudiziario, che ai due giovani sarebbe potuto costare fino a dieci anni di reclusione, dall’altro getta pesanti interrogativi su indagini, fatti e circostanze che – a questo punto – meritano risposte concrete e immediate.
“Non ti nascondo – ci ha confidato Rosamaria – che in questa vicenda mi sono sentita sola. Ho affrontato tutto con coraggio, ma con le mie forze”. Un’amara considerazione che deve indurci tutti seriamente a riflettere sulla fondamentale importanza di stare vicini, sempre e comunque, a quanti, loro malgrado, sono costretti a vivere momenti di difficoltà, a volte talmente grandi da rischiare di diventare insopportabili.
Oggi che la giustizia ha trionfato e che sulla testa di Rosamaria è finalmente tornato a splendere il sole – il Venerdì de “la Repubblica” di questa settimana le ha pubblicato un ottimo servizio sul Teatro dell’Acquario di Cosenza che rischia di scomparire – non possiamo sottrarci al dovere di chiederle pubblicamente scusa. Per non esserle stati vicini anche se non ce l’ha mai chiesto. da www.giornalisticalabria.it

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