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Associazioni 03 Ott 2006

Nel corso della presentazione del libro “L'ultima primavera. La lotta per la libertà di informazione in Iran” presso l’Assostampa Romana, il giornalista Ahmad Rafat ha dichiarato: “La libertà di stampa può spar

''La libertà di stampa può sparire in un attimo, come sono scomparsi i giornali in Iran sei-sette anni fa. In una notte sono stati chiusi undici quotidiani e due settimanali e in tre mesi centoquattro pubblicazioni. Forse è il caso che gli italiani sappiano che in poche ore possono perdere quello che hanno''.

''La libertà di stampa può sparire in un attimo, come sono scomparsi i giornali in Iran sei-sette anni fa. In una notte sono stati chiusi undici quotidiani e due settimanali e in tre mesi centoquattro pubblicazioni. Forse è il caso che gli italiani sappiano che in poche ore possono perdere quello che hanno''.

Lo ha sottolineato il giornalista italo iraniano Ahmad Rafat alla presentazione all'Associazione Stampa Romana de 'L'ultima primavera. La lotta per la libertà di informazione in Iran' (Edizioni Polistampa) in cui dodici dei più famosi giornalisti iraniani raccontano cos'è la repressione e la censura nel loro Paese e tracciano un ritratto inedito degli Ajatollah. E a proposito della situazione italiana la segretaria dell'Associazione Stampa Romana, Silvia Garambois, ha messo in luce, dopo i recenti scioperi dei giornalisti, come siano ''venti mesi che non riusciamo a parlare con i nostri editori. Noi che dall'Osservatorio Internazionale veniamo considerati un Paese con una stampa quasi libera dobbiamo difendere la libertà d'informazione e i valori più alti del giornalismo''. Per 21 anni inviato di punta del settimanale spagnolo 'Tiempo', attualmente Rafat lavora come esperto delle vicende iraniane e mediorientali all'agenzia Adnkronos International (Aki) di Roma. ''In Iran - racconta - ufficialmente 120 mila siti sono stati oscurati. L'ultimo giornalista censurato che gestiva un sito web è stato condannato a 84 frustrate. I giornalisti - spiega Rafat - finiscono nel dipartimento 209 del grande carcere di Teheran. Pochi sanno che il persiano, il farsi, è la terza lingua internet'' ma ''ormai in Iran nessuno parla di nulla che non sia il nucleare. L'opinione pubblica ha nei confronti di questa vicenda una reazione di orgoglio nazionale ma anche molte preoccupazioni perché teme le conseguenze che ci potrebbero essere e che ricadrebbero sulla gente comune. Molti iraniani sono convinti che il governo non voglia il nucleare per scopi pacifici e, al contrario di quello che si pensa in Europa, per loro il confronto su chi ha o non ha il nucleare non è con Israele ma con il Pakistan. C'è una circolare del Consiglio Superiore della Sicurezza Nazionale inviata ai giornali che sostiene che per tutte le informazioni sulla sicurezza le fonti possono essere soltanto i ministeri, i siti governativi e le agenzie iraniane''. Rafat non nasconde i difetti del suo popolo: ''da sempre gli iraniani attribuiscono agli stranieri quello che accade in Iran, la cultura della colpa degli altri, e attendono sempre l'eroe. Nessuno ha tanti eroi inventati e veri come noi. Lo Stato in Iran, per come è fatto, non sopporta la voce del dissenso e teme più i moderati, che hanno maggiore presa sul popolo, che gli estremisti''. L'Italia, sottolinea ancora Rafat, ''è l'unico paese che non ha trasmissioni radio e tv in lingua farsi. Francia, Olanda, Svezia, per citarne alcuni, ce l'hanno. Mentre la radio-tv iraniana ha programmi in italiano (quindici minuti di tv tre volte la settimana e 4 ore di radio). Così non si promuove la libertà d'informazione e non si crea neppure un ponte di comunicazione''. Infine, le donne iraniane giornaliste ''sono tante, ma vengono impiegate - conclude Rafat - al desk o sono capo servizio perché sono più ordinate, conoscono meglio il persiano e vengono pagate meno degli uomini perché non hanno la responsabilità della famiglia. Ma non ci sono inviate, ne abbiamo soltanto due perché non si può mandare in giro una donna senza un accompagnatore che vigili sulla sua integrità''. (ANSA)

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