La qualifica di caposervizio (art. 11 del contratto collettivo nazionale di categoria) spetta a chi svolge compiti di coordinamento di giornalisti «a prescindere dalla circostanza - formale - che siano o meno lavoratori dipendenti». Quindi anche collaboratori autonomi, la cui «disponibilità continuativa (…) garantisce all'editore l'uscita del quotidiano». Lo stabilisce il Tribunale di Padova - con una sentenza del 9 giugno 2025 del giudice Silvia Rigoni - entrando per la prima volta nel merito del modello editoriale da anni denunciato in tutte le sedi dal Sindacato giornalisti Veneto che rivendica il ruolo fondamentale e necessario dei cosiddetti co.co.co. nella fattura del giornale.
Sgv, con le legali Marialuisa Miazzi e Angela Rampazzo, ha patrocinato la causa di un collega di Rcs per il riconoscimento della qualifica di caposervizio, dopo che sono falliti tutti i tentativi di negoziazione con l'azienda che con pervicacia si è sempre arroccata dietro l'interpretazione letterale dell'articolo 11 del Ccnlg: «È considerato caposervizio il redattore al quale, salvo quanto disposto all'art. 22, sia stata attribuita la responsabilità di un determinato servizio redazionale a carattere continuativo e abbia alle proprie dipendenze due o più redattori e/o collaboratori fissi di cui all'art. 2, con il compito di coordinarne e rivederne il lavoro fornendo le opportune direttive».
In sostanza, secondo Rcs è vero che il collega seleziona le notizie, fa i titoli, gestisce le pagine, le manda in tipografia per l'ok si stampi, ma non ha diritto alla qualifica di caposervizio in quanto coordina 'solo' cinque collaboratori esterni per due edizioni di cronaca locale di cui si compone il Corriere del Veneto.
Su queste basi il sindacato, con il Cdr, ha ritenuto di dover avviare il contenzioso in difesa del collega, diretto a promuovere un'interpretazione aggiornata del Ccnlg idonea appunto a smascherare l'ipocrisia con cui gli editori organizzano oggi le redazioni: il ricorso massiccio a collaboratori 'formalmente' autonomi che snatura il modello di redazione voluto dalle parti sociali e dal Ccnlg, e nel contempo, impedisce il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e dei corretti inquadramenti professionali.
La sentenza muove dunque da un presupposto organizzativo che non è quasi più presente nelle nostre redazioni, posto l'abuso sistematico di rapporti di collaborazione autonoma, per coprire ruoli chiave dell'organizzazione redazionale, con impegno quotidiano, richieste continue, reperibilità, e nessuna tutela contrattuale, consentendo all'editore di abbattere i costi e di mantenere un apparato redazionale ridotto (leggero), scaricando funzioni e responsabilità su esterni trattati (ma non pagati) come interni.
Un sistema di sfruttamento rispetto al quale il confronto avviato da Sgv con gli editori non ha mai portato - se non in rare eccezioni come Athesis e comunque non in maniera pienamente soddisfacente – l'esito sperato, quello cioè dell'ammissione del ruolo fondamentale del co.co.co. e della sua equa retribuzione.
Dalle motivazioni espresse dalla sentenza del Tribunale di Padova, si può finalmente ricavare che il Ccnlg deve essere interpretato e applicato in modo 'non formalistico': ciò che conta è l'apporto che il giornalista-collaboratore assicura al giornale, «la disponibilità [che] garantisce all'editore l'uscita del quotidiano». Senza contare come in questa nuova organizzazione dei giornali la condizione del caposervizio è ancora più onerosa perché organizzare collaboratori esterni alla redazione è decisamente più complicato che organizzare redattori inquadrati ai sensi del contratto.
Questa sentenza rappresenta una vittoria importante per il collega, ma anche per il sindacato che acquisisce sostegno per continuare a impegnarsi per denunciare ed evidenziare le sostanziali violazioni di legge che traggono forza da una formalistica lettura del Contratto collettivo ormai inaccettabile perché fondata su presupposti organizzativi largamente superati dalla realtà del lavoro.
Rcs Mediagroup (già Rcs Edizioni Locali) è stata condannata in primo grado a riconoscere l'inquadramento superiore e a versare tutte le differenze retributive a partire dal febbraio 2012, oltre a regolarizzare la posizione previdenziale del giornalista. Ora, secondo il tribunale, Rcs dovrà ripensare non solo l'inquadramento del singolo giornalista, ma l'intero assetto organizzativo: un modello ibrido - a metà tra redazione e rete di collaboratori - che regge finché nessuno solleva il problema. Ma che, alla prova dei fatti, non tiene più ed espone l'azienda a decine di possibili cause. (Da: sindacatogiornalistiveneto.it)